By Colin White

Novembre 2009

Web database: la questione MapReduce (Parte Prima)

Quando furono introdotti per la prima volta i sistemi relazionali, il fronte dei sostenitori dei database gerarchici (Ims) e di rete (Idms – Integrated database management systems) sosteneva che il modello relazionale fosse inferiore e non riuscisse a garantire le stesse prestazioni. Nel corso del tempo queste affermazioni si rivelarono prive di fondamento e i prodotti relazionali sono oggi la tecnologia su cui si basa un grande numero di applicazioni operazionali e analitiche. Non solo, ma i sistemi relazionali sono poi riusciti a sopravvivere alla successiva sfida messa in atto dalla tecnologia di database orientata agli oggetti.
Sebbene la tecnologia relazionale sia riuscita a sopravvivere alle varie schermaglie succedutesi nel tempo, quanto accaduto è la naturale dimostrazione che un unico modello difficilmente riesce a soddisfare tutte le esigenze e che alcune applicazioni possono avere maggiori vantaggi seguendo approcci alternativi. Il confronto ha inoltre contribuito al miglioramento dei prodotti relazionali, grazie all’incorporazione di nuove funzionalità, come per esempio la gestione di dati complessi e il supporto a linguaggi Xml e XQuery. Alcuni esperti affermano che molte di queste funzionalità hanno compromesso la purezza e la semplicità del modello relazionale.
Quando sono infine arrivato a pensare che i principali prodotti relazionali presenti sul mercato fossero ormai da considerarsi una commodity, ecco apparire una nuova tecnologia, chiamata MapReduce, che accende l’ennesimo dibattito. In questo articolo l’obiettivo è cercare di evidenziare i pro e i contro di MapReduce, tecnologia definita recentemente da Michael Stonebraker, uno dei primi ricercatori che si cimentarono nel definire il modello originario del database relazionale, come un gigantesco passo indietro1.

Che cos’è MapReduce?

MapReduce è diventata popolare grazie a Google che lo utilizza per elaborare ogni giorno molti petabyte di dati. Nel documento2  che costituisce il fondamento tecnologico del nuovo modello, redatto da Jeffrey Dean e Sanjay Ghemawat di Google, si afferma che:
“MapReduce è un modello di programmazione cui è stata associata un’implementazione per elaborare e generare insiemi di dati di grandi dimensioni… I programmi scritti che adottando questo stile funzionale vengono automaticamente gestiti in una logica parallela ed eseguiti su cluster di macchine a tecnologia commodity. Il sistema run time si occupa nel dettaglio del partizionamento dei dati di input, pianificando l’esecuzione del programma attraverso una serie di macchine, gestendone gli eventuali guasti e la comunicazione che ha luogo tra esse. Tutto questo permette a programmatori senza alcuna esperienza in sistemi paralleli e distribuiti di utilizzare con molta semplicità le risorse di un grande sistema distribuito”.
I commenti di Michael Stonebraker su MapReduce aggiungono ulteriori dettagli:
“Il modello di MapReduce è semplice. E’ costituito da due programmi scritti dall’utente, chiamati map e reduce, e da un framework che abilita l’esecuzione di un grande numero di istanze di ciascun programma su un cluster elaborativo”.
“Il programma map legge un insieme di record da un file di input, svolge le operazioni di filtraggio e le trasformazioni desiderate, quindi produce una serie di record di output nella forma convenuta (chiave, dati). Mentre il programma map produce questi record, una funzione separata li partiziona in multipli e indipendenti contenitori applicando una funzione alla chiave di ciascun record. Questa funzione è tipicamente hash, sebbene sia sufficiente qualsiasi tipo di funzione deterministica. Una volta che il contenitore è pieno, il suo contenuto viene riversato su disco. Infine il programma map termina producendo una serie di file di output, uno per ciascun contenitore”.
“Dopo essere stati raccolti dal framework map-reduce i record di input vengono raggruppati per chiavi (attraverso operazioni di sorting o hashing) e sottoposti al programma reduce. Come per il programma map, reduce esegue una elaborazione arbitraria attraverso un linguaggio general purpose. Di conseguenza può compiere qualsiasi sorta di operazioni sui record. Per esempio può elaborare alcune funzioni addizionali per altri campi dati del record. Ciascuna istanza reduce può scrivere record a un file di output e quest’ultimo rappresenta una parte della risposta soddisfatta da una elaborazione MapReduce”.
La coppia chiave/valore prodotta dal programma map può contenere qualsiasi tipo di dati nel campo assegnato al valore del campo. Google, per esempio, utilizza questo approccio per indicizzare grandi volumi di dati non strutturati. Sebbene Google usi una propria versione di MapReduce esiste anche una versione open source, chiamata Hadoop3  resa disponibile dal progetto Apache. IBM e Google hanno poi annunciato un’importante iniziativa per utilizzare Hadoop all’interno di corsi universitari sulla programmazione in ambiente distribuito.
MapReduce non rappresenta un nuovo concetto. Si basa sulla capacità di eseguire un list processing attraverso linguaggi di programmazione funzionali dichiarativi come Lisp (List processing). I sistemi attuali implementano MapReduce utilizzando linguaggi come Java, C++, Python, Perl, Ruby, e altri.
Le coppie chiave/valore utilizzate nell’elaborazione MapReduce possono essere archiviate in un file o in un database. Per gestire i dati Google, per esempio, usa un proprio sistema, chiamato BigTable, che si appoggia al file system distribuito di Google, GFS.
I database che sfruttano la logica di coppie chiave/valore esistono da molti anni, Per esempio, Berkeley Db è un database embedded che esegue archiviazione dati in una struttura dati per coppie chiave/valore. Sviluppato originariamente negli anni 80 a Berkeley è oggi di proprietà Oracle. Berkeley Db può anche funzionare come motore di storage di backend per i Dbms relazionali open source MySql.

Perché questa controversia?

Appurato che MapReduce non è un modello di database, ma un modello di programmazione per creare potenti applicazioni per il calcolo parallelo e distribuito, perché allora esiste questa controversia nei confronti dei sistemi relazionali? Per rispondere alla domanda si deve analizzare in dettaglio il modello relazionale dei dati.
Nel modello relazionale i dati vengono concettualmente archiviati in insiemi di relazioni o tabelle. Queste ultime sono manipolate utilizzando operatori relazionali come selection, projection e join i quali sono oggi implementati via Sql (Structured query language).
Le modalità in cui i dati di tabella vengono archiviati e gestiti all’interno di un Rdbms dipendono dal singolo vendor. La mappatura degli operatori relazionali (dichiarazioni Sql) verso il motore di storage di backend è gestita dall’ottimizzatore relazionale il cui compito è determinare il percorso migliore per accedere fisicamente ai dati. L’indipendenza dai dati fisici rappresenta infatti uno dei vantaggi essenziali del modello relazionale.
Quando si utilizza Sql gli utenti definiscono quali sono i dati cui sono interessati ad accedere e non come si deve accedere a essi. Tecniche quali l’indicizzazione e il calcolo distribuito e parallelo vengono gestiti dal sistema Rdbms sottostante. Sql è un linguaggio dichiarativo e non un linguaggio imperativo/procedurale come Java e C++ e richiede una accurata descrizione di qualsiasi algoritmo di accesso ai dati utilizzato. Ovviamente gli statement Sql possono essere incorporati nei linguaggi procedurali così come è vero il contrario, ovvero Sql può invocare delle stored procedure o funzioni specifiche definite dall’utente e scritte in un linguaggio procedurale.
La preoccupazione di Michael Stonebraker è che l’utilizzo e la diffusione di MapReduce possa far compiere all’industria un salto nel passato riportando le lancette dell’orologio ai tempi dei sistemi pre-relazionali quando non erano ancora state formalizzate una logica di database e l’indipendenza dei dati applicativi. La tesi difensiva avanzata dai sostenitori di MapReduce è che la maggior parte dei dati elaborati sono dati non strutturati che non corrispondono ad alcuno schema. Si afferma, inoltre, che il maggior numero di programmatori, poiché non conosce o non vuole conoscere Sql, trova MapReduce molto più semplice e, di conseguenza, quest’ultimo viene preferito per accedere e analizzare dati utilizzando uno stile di programmazione procedurale.
Entrambe le opinioni sono corrette ed entrambi gli approcci presentano vantaggi. Come affermato all’inizio dell’articolo non esiste un modello che possa essere adatto per tutti. La sfida è comprendere quando è meglio utilizzare l’uno o l’altro.

(Segue a dicembre)

http://www.databasecolumn.com/2008/01/mapreduce-a-major-step-back.html
http://labs.google.com/papers/mapreduce.html
http://hadoop.apache.org/